A DIECI ANNI DAI FATTI DI BESLAN

A DIECI ANNI DAI FATTI DI BESLAN

In occasione dell'anniversario di quei tragici fatti, ospitiamo una memoria di Mauro Rossi dedicata alla figura di Anna Politkovskaia, la giornalista russa uccisa per il suo coraggio nel denunciare le sofferenze provocate dalla guerra, dalla ragion di stato e dalle logiche di regime (Alberto G.)
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ANNA É VIVA!


Anna Politkovskaja
è stata assassinata nell'ascensore di casa sua, al centro di Mosca, il 7 ottobre del 2006. Il sicario le ha sparato addosso cinque colpi di pistola, di cui due alla testa e ha abbandonato la pistola accanto al cadavere, in segno di sprezzo verso la vittima e di certezza di impunità. Un esecuzione in piena regola. Anna era una giornalista, una reporter che lavorava per Novaja Gazeta, un giornale indipendente in una Russia post sovietica piena di comunisti, mafiosi ed ex uomini dei servizi segreti. Una missione ardua la sua. Il lavoro di giornalista è infatti molto pericoloso nel paese dopo l'arrivo al potere di Vladimir Putin, nel 1999, che ha favorito l'ascesa di nuove oligarchie rampanti e di molti vecchi "cekisti" (ex agenti del KGB). Le voci veramente libere vengono sistematicamente isolate quando non addirittura messe a tacere. Anna è una donna coraggiosa, una persona straordinaria che si impone uno scopo: mantenere informati i suo concittadini su ciò che sta avvenendo fuori e dentro la Russia dopo l'avvento al potere del nuovo "uomo forte". Anna è pienamente cosciente dei rischi che comporta il suo lavoro, ma ha anche la convinzione che la verità sia un valore per cui si debba sempre lottare.
La storia personale di questa donna è legata a filo doppio con quanto accade in Cecenia dal 1989 in poi, cioè dal momento in cui l'impero sovietico si disgrega.
La Cecenia, piccola repubblica posta ai piedi del Caucaso, dichiara la propria indipendenza da Mosca dopo una breve rivoluzione portata avanti sulle orme di ciò che è appena accaduto nei paesi Baltici. La sollevazione indipendentista è comandata da un ex generale del'aviazione sovietica, Dzochar Dudaev, che fino a pochi mesi prima aveva diretto operazioni militari in Estonia. Dudaev abbandona il posto nell'esercito russo e diviene il primo presidente della neo costituita Repubblica cecena, acclamato a grande maggioranza dalla folla. In un primo momento Boris Eltsin, Presidente della neo costituita Federazione russa, moderato e populista, refrattario a qualsiasi tipo di violenza e di diseguaglianza, decide di non intervenire. La Cecenia è un piccolo territorio montagnoso abitato per di più da contadini, ma è situata in un punto geograficamente strategico ed ha parecchi pozzi petroliferi. Il governo di Mosca cerca in ogni modo di boicottare la nuova entità statale, anche cercando appoggio nei governi europei, che però si mostrano del tutto indifferenti a ciò che sta accadendo. Nel 1994 Eltsin, sempre più vittima dell'alcool, si autoconvince di dover diventare il nuovo Zar di tutte le Russie, e muove l'esercito per far tornare quel territorio sotto le ali di Mosca. Incoraggiato dal suo Ministro della Difesa, Pavel Gracev, che dichiara pubblicamente che la guerra si può vincere "in due ore dispiegando un solo reggimento", il Presidente invia l'esercito alla conquista di Grozny, la capitale cecena. Ma forse né Eltsin né i suoi esperti militari hanno messo in conto la strenua resistenza di migliaia patrioti armati fino ai denti di armi ex sovietiche acquistate sul mercato nero. Sono due ex militari russi a fronteggiare le forze armate del loro padrone di un tempo. Samil Basaev, personaggio misterioso, ex compagno d'armi del presidente Dudaev ed ex operaio addestrato in campi speciali dell'intelligence russa, autore di attentati, sequestri di persona e reati vari, guida la resistenza, affiancato per quanto riguarda la parte strategica da Aslan Mascadov, un ex comandante dell'esercito sovietico. La resistenza cecena riesce a tenere vittoriosamente Grozny, fino a che, nel 1997, la Russia decide di ritirare le truppe. Ma non è ancora venuto il tempo della pace. Nel 1995 Dudaev era stato colpito da un razzo russo durante un combattimento. Dopo un periodo di stallo era stato nominato Presidente proprio quell'Aslan Mascadov eroe della resistenza. Ma le cose non vanno come dovrebbero, anche perché fra i due ex compagni di lotta le tensioni salgono. Mascadov viene accusato di essere troppo morbido e non all'altezza del suo compito, Basaev con il suo esercito di "guerriglieri giovani e disoccupati" si rifugia tra le montagne e dà il via ad una serie di attentati terroristici dentro la Russia e i Paesi vicini.
Finquando nel 1999 arriva al potere Vladimir Putin, che subito decide di riprendere l'offensiva militare.
È proprio in questo momento che il Caucaso, dalla Cecenia all'Inguscezia al Daghestan, diviene anche per Anna un "campo di battaglia". Solo che il suo grande nemico non sono i Ceceni, bensì Vladimir Putin, che la giornalista identificherà subito come il vero pericolo per il suo stesso popolo. Putin è un ex colonnello del KGB arrivato prima ai vertici della struttura, poi al Cremlino dopo avere esautorato di fatto Boris Eltsin, o quel poco di facciata che ancora rappresentava. La resistenza cecena, per il nuovo Presidente, diventa il nemico pubblico numero uno, una piaga, un'accozzaglia di fanatici islamisti da debellare in nome di una fantomatica guerra al terrorismo. Anna compirà più di quaranta viaggi sul teatro di guerra fra il 2000 al 2006, per incontrare i membri del governo insurrezionalista in situazioni talvolta pericolosissime, o per scrivere reportages di una crudezza e partecipazione veramente toccanti, per testimoniare le violenze di ogni tipo subite dalla popolazione inerme sia da parte dell'Esercito federale russo e sia dei vari corpi speciali ceceni. Il suo coraggio nella denuncia faranno di lei una persona molto scomoda sia per il Cremlino sia per l'informazione locale aggiogata al potere dominante. "Mattaccini" definisce Anna tanti suoi colleghi giornalisti, alludendo a quei pagliacci da circo che devono far ridere, perché se il pubblico non sorride il padrone li licenzia.
Anna rischia, rischia parecchio, ed è cosciente di questo. Sospetta che dietro gli attentati di Mosca del 1999, che colpiscono palazzi residenziali e metropolitana causando parecchie vittime, ci siano i servizi segreti e non, come accusa il Cremlino, i terroristi ceceni. I suoi colloqui con Alexandre Litvinenko, un ex uomo del KGB sezione antiterrorismo, in seguito espatriato a Londra con l'aiuto dei servizi Britannici (MI6) rafforzano in lei questi sospetti, e le fanno credere nell'esistenza di un piano di destabilizzazione e depistaggio ordito ad alto livello volto a riversare la colpa sui ceceni per giustificare un attacco contro il loro Paese. E l'attacco ha inizio nella totale indifferenza dell'Occidente, con l'America sotto shock dopo i fatti dell'11 settembre e l'Europa inconsapevole di chi sia Putin. Anna annoterà: "In questa guerra tutti hanno il loro tornaconto", alludendo certo all'esercito russo e a quello ceceno, ma anche agli indipendentisti di Basaev e ai groppuscoli estremisti venutesi a formare nel corso del conflitto. Preoccupa la giornalista il moltiplicarsi di milizie sia russe sia cecene, prive di ideologia e orientate solo alla razzia, alla violenza e alla distruzione di tutto ciò che possa capitare sotto le loro man. E ancor più Anna si spende, dentro e fuori la Russia, per accusare la pericolosità del regime di Putin: il Parlamento è in mano al partito del Presidente mentre l'opposizione, totalmente disgregata, emarginata e passiva, non riesce ad emergere; lo Stato si è fatto di Polizia, ove i "buoni" sono quelli che stanno col capo e i "cattivi" coloro che gli si oppongono e meritano pertanto di essere trattati come paria, contro cui tutto è lecito. Anna è amareggiata dal comportamento dei suoi stessi concittadini, rassegnati ed inerti di fronte ai soprusi e alle angherie che subiscono: si scaglia contro l'apatia generale, il venir meno di quella forma di coscienza civile che sembrava essersi formata a seguito della "glasnost" di Gorbacev e il crollo del Comunismo. Dopo l'assassinio della Politkovskaja il direttore del suo giornale dichiarerà che in quei giorni Anna stava per pubblicare un servizio contenente pesanti e circostanziate accuse contro l'esercito Russo e le forze di sicurezza cecene per le torture inflitte alla popolazione civile, la cui unica colpa è di essere cecena. Un dialogo in uno dei libri di Anna, tratto da un interrogatorio ad un soldato a processo in tribunale a Grozny per le atrocità commesse sul campo, illustra esemplarmente il disprezzo per la vita umana esibito tanto dai soldati quanto dalle stesse autorità inquirenti.
"Perché l'hai ucciso?".
"Non lo so".
"Perche gli hai tagliato le orecchie?".
"Non lo so".
"Perché gli hai fatto lo scalpo?"
"Ma era un ceceno".
"Capisco".
Questa è l'aria che tira in quel paese e queste sono le storie che la giornalista vive e racconta nei suoi articoli e nei suoi libri. Storie di esistenze distrutte da un giorno all'altro senza un motivo e senza possibilità di punizione dei colpevoli. Con esiti tristi e pericolosissimi. Anna, nel libro Cecenia, il disonore russo, scrive: "In questi anni di guerra noi [russi] abbiamo generato talmente tanti assassini cinici da poter soddisfare il fabbisogno di killer a pagamento in tutto il pianeta per parecchi anni a venire". Anna allude ai carnefici delle tante persone che hanno subito ogni genere di violenza dentro la loro terra e le loro case: gente uccisa a tradimento, stuprata e gettata dentro buche scavate nella terra e poi ricoperte, magari solo perché non aveva una birra da offrire ai miliziani che irrompono in casa alle tre di notte abbattendo la porta – come accade a Haisha, 62 anni, in un piccolo villaggio vicino Grozny. Ma anche a molti altri fatti di cui è testimone diretta. E così Anna sarà presente al teatro Dubrovka di Mosca, quando fra il 23 e il 26 ottobre 2002 un commando di separatisti ceceni prenderà in ostaggio 850 spettatori; e a Beslan, in Ossezia, quando un altro commando terrorista assalterà una scuola elementare (è l'1 settembre 2004), prendendo prigionieri più di 1100 ostaggi tra bambini e genitori. In entrambe i casi Anna cerca frapporsi come mediatrice, forte anche della grande considerazione in cui è tenuta da parte della resistenza cecena. Al Dubrovka riuscirà persino ad entrare nel teatro, a portare bottiglie di acqua ai prigionieri assetati e a parlare con i terroristi, parecchi dei quali giovani donne vedove o figlie di martiri uccisi o fatti scomparire senza motivo dall'esercito russo. Chiede ai terroristi di rilasciare i bambini ma la risposta è perentoria: "Voi rapite e uccidete i nostri figli, se necessario moriranno anche i vostri". Parla con il capo del commando, che si presenta a viso scoperto senza paura e chiede se può almeno portare cibo ai più piccini, ma anche questa volta la risposta è lapidaria: "I nostri bambini muoiono di fame, se sarà necessario moriranno anche i vostri". Anna chiede loro se stanno con Maskadov, allora Presidente della Cecenia, ma no, loro non sono con Maskadov, sono tutti ex combattenti dell'esercito, gente ben istruita ed addestrata, pronta a morire perché questa guerra abbia fine e la loro gente venga lasciata vivere in pace. Cani sciolti, come li definisce Anna, pronti a farsi esplodere per la loro causa – e Anna sa che come loro ce ne sono migliaia. Nel caso di Beslan, invece, un thé avvelenato bevuto sull'aereo che la stava portando sul posto le impedisce di tentare la missione. Nell'uno come nell'altro caso ci penseranno le forze di polizia e i servizi di sicurezza a risolvere rozzamente la questione; a Mosca con l'uso di un gas asfissiante la cui composizione chimica resta ancor oggi sconosciuta, che uccide i terroristi ma fa anche 130 morti fra gli ostaggi e provoca molti danni alla salute degli altri sopravvissuti; a Beslan con un assalto che costa la vita a 334 persone (31 sequestratori e ben 186 bambini) e fa un gran numero di feriti. Davvero una bella strategia, quella del governo di Mosca: sacrificare cento innocenti per eliminare dieci colpevoli! Anna è molto dura nei confronti della dirigenza russa ed in particolare nei riguardi di Vladimir Putin. Non risparmia critiche neppure nei confronti del nuovo governatore della Cecenia, che definisce un "perfetto idiota, un analfabeta che non ha nemmeno la licenza elementare, un emerito imbecille": Ramsan Kadirov, fantoccio di Mosca messo lì dopo l'eliminazione di Maskadov da parte dei servizi russi e dopo l'assassinio di suo padre da parte di qualcuno dei cani sciolti di cui si parlava prima. Kadirov non avrà la licenza elementare, ma gira per le strade del suo Paese circondato da una scorta di mercenari con licenza di uccidere chiunque non di suo gradimento. Per rendersi conto di quale sia lo stato della libertà di informazione in Russia in quegli anni (2000-2006), basta leggere ciò che Anna scrive in un suo celebre articolo: "La menzogna globale orchestrata dai funzionari di stato in favore di una giusta immagine della Russia di Putin, sta degenerando in una tragedia tale che affonderebbe una portaerei, per quanto solida potesse sembrare da fuori". Girare per Grozny, o in qualsiasi posto della Cecenia o nei campi di profughi nel Daghestan come cronista non è certo senza rischio per chi cerca di capire e spiegare cosa sta succedendo. Parlare con la persona sbagliata, ma anche con la persona giusta nel posto sbagliato, può significare morte sicura. Lei stessa, nei mesi precedenti alla sua esecuzione, si fa attenta e prudente nei suoi spostamenti, sopratutto a Mosca. Certo Anna non si sarebbe mai aspettata che qualcuno le potesse tendere un agguato sotto casa, al centro della città alle quattro di un pomeriggio. I dati dicono che più di 200 tra giornalisti, militanti per i diritti civili, membri dell'informazione e avvocati difensori di vittime innocenti sono stati uccisi o sono spariti in Russia dal 2000 ad oggi. Anna ha fatto il possibile per parlare al mondo intero, ma una grande parte di mondo non l'ha ascoltata. Come detto l'America aveva altri problemi, ed io credo che a parecchi leader europei importasse poco della Cecenia, ammesso che sapessero dov'era, e avessero timore di incrinare le relazioni con un leader di un paese così potente ed economicamente importante come la Russia. Il giorno del funerale di Anna (10 ottobre 2006) non sarà presente nessun Capo di Stato o di Governo, nessun politico importante, nessun rappresentante di un qualunque paese europeo: Putin è a Dresda ad incontrare Angela Merkel, solo Marco Pannella sarà alle esequie a rappresentare tutti coloro che credono nella libertà di espressione e nel diritto all'informazione. Nel suo libro La Russia di Putin, Anna scriveva: "Non ci potrà aiutare l'Occidente, che poco si cura della politica antiterrorismo di Putin, e che invece mostra di gradire la vodka il caviale il gas il petrolio gli orsi e un certo tipo di persone". La professione di giornalista, diceva, significa stare dalla parte delle vittime, significa portare loro aiuto, per quanto possibile. E lei lo ha fatto davvero, da Grozny al teatro Dubrovka di Mosca a Beslan. Nel corso degli anni dopo la sua morte, la Procura di Mosca si è dimostrata molto reticente ad indagare sul caso dell'assassinio di Anna, e lo ha trattato come un oggetto di cui non si riesca o non si voglia veramente comprendere causa e mandanti. Assoluzioni, condanne, poi ancora assoluzioni e ancora condanne, processi rinviati o addirittura azzerati a causa di giurati che davano improvvisamente forfait, imputati latitanti, giudici che hanno paura della politica e politici che non hanno paura ad intromettersi per forzare la mano agli inquirenti. Qualche tempo dopo la morte di Anna, in una conferenza stampa, l'ex spia Litvinenko lascerà intendere chi ci sia dietro quel crimine. Le sue parole sono chiare: "Una giornalista di quel livello non può essere toccata senza l'assenso del vertice...". Litvinenko verrà ricoverato qualche tempo dopo in un ospedale londinese dopo aver cenato in casa di Ahmed Zakayev, braccio destro di Aslan Mascadodov, a causa di un avvelenamento da polonio 210, una sostanza radioattiva proveniente da laboratori specializzati. Morirà il 24 novembre 2006. Parliamoci chiaro, i casi sono due; o si è ciechi o non si vuol vedere. A me sembra che sulla tragedia Cecena siano stati in tanti, troppi direi, a non voler vedere, in Europa e non solo. Certo, gli interessi economici sono parecchio forti. E passano per il gas, il petrolio, le importazioni di prodotti agricoli e industriali, mentre le nostre località di villeggiatura si sono riempite di turisti russi danarosissimi: fatto sta che l'Occidente intero si è dimostrato del tutto indifferente a quella situazione e poco intenzionato a opporvisi. Riguardo al processo per l'omicidio di Anna, l'ennesimo ultimo dibattimento si è concluso lo scorso giugno con cinque condanne: tre fratelli ceceni – una specie di congrega familiare di killer a pagamento – un loro zio e un ex dirigente della polizia di Mosca colpevole di aver aiutato i killer nel loro lavoro. Un altro ex poliziotto era già in carcere con l'accusa di aver fornito l'arma del delitto. Ma non può essere finita qui. Dei veri mandanti di questo assassinio ancora nessuna traccia e io temo purtroppo che mai si giungerà a conoscerli e processarli. In una sua conferenza a Vienna, Anna disse: "Certe volte le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce quello che pensano". C'è una condizione non scritte per vivere in pace in Russia e non rischiare la pelle uscendo di casa: disinteressarsi di tutto quello che accade. Anna non sottostava a questa regola, anzi, con le sue inchieste ha messo a nudo il sistema criminale e corrotto che lo impone. E ha pagato.
I criminali contano sulla dimenticanza. Col trascorrere del tempo, la memoria dei fatti sbiadisce, le vittime vengono sotterrate, si fanno le messe in suffragio e la gente scorda ciò che è stato. Anche Litvinenko è morto con parecchi dei suoi segreti, ucciso come Anna e come tante altre persone che cercavano solo la verità. Questa donna è stata un esempio, nella sua semplicità onestà e coraggio, nel voler dire cose non si possono non vedere e non si possono dimenticare. Come titola Andrea Riscassi nel suo libro: Anna è viva!

Mauro Rossi 1959, Tirano.

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